IL BISNONNO DI INTERNET

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Mons, una sessantina di chilometri a sud-ovest di Bruxelles, è puro Simenon: nebbia, case di mattoni a vista, e di primo mattino, al bar della stazione, il fumo, le birre e i caffè, e la barista che è troppo bella per il marito che ha. Sono arrivato qui perché al 76 di rue de Nimy è ospitato quello che resta di una Biblioteca di Babele realizzata, il Mundaneum, gigantesco archivio che negli anni Trenta contava dodici milioni di documenti, tra schede bibliografiche, carte geografiche, manifesti, cartoline, fotografie, dischi, un progetto che sta fra Christian Wolff e Tintin, tra l’enciclopedia universale e le passioni infantili per la collezione. Nel 1895 due giuristi belgi decisero di mettere insieme lo scibile universale e di catalogarlo con un sistema che chiamarono Classificazione Universale Decimale, quella che tutt’ora si adopera nelle biblioteche e che in effetti è un potenziamento della Classificazione Dewey, e stabilendo lo standard e il formato delle schede bibliografiche, così come delle cassettiere che le raccolgono. I due non si chiamavano Bouvard e Pécuchet, ma Paul Otlet (figlio di un grande industriale) ed Henri-Marie La Fontaine (premio Nobel per la pace 1913). La pratica era guidata da una teoria, che culmina, nel 1934, nel Traité de Documentation di Otlet, basato sul principio secondo cui tutto può essere documento. L’idea era che il mondo non esiste per por capo a un libro, come sosteneva Mallarmé, bensì piuttosto a un catalogo, ma che questo catalogo (ecco il motivo del Nobel a La Fontaine) avrebbe favorito la conoscenza tra i popoli e la pace universale. È in questo spirito che, cercando di passare dalle parole alle cose, i due progettarono a un certo punto una città internazionale, con rappresentanze di tutti i Paesi, una specie di catalogo, anche lì, e, non trovando ascolto tra i governi parlamentari, cercarono di proporlo anche a Mussolini e a Hitler, ma senza successo. Non fu la sola volta in cui il destino del Mundaneum si incontrò con quello del terzo Reich. Il Mundaneum fu originariamente ospitato nel Palais du Cinquantenaire a Bruxelles, ma ricevette un primo colpo negli anni Trenta, quando alcune sale vennero smantellate per far posto a una esposizione sul caucciù. Otlet sperava in un trasferimento a Ginevra, in un edificio progettato da Le Corbusier, ma ciò che avvenne, negli anni Quaranta, fu invece l’occupazione tedesca del Belgio, e nella fattispecie una trionfale mostra sull’arte del terzo Reich che sloggiò il Mundaneum. Otlet morì nel 1944, dimenticato da tutti, il che, per un archivista universale, appare come un destino piuttosto ironico. Le sue cassettiere e le sue schede ebbero vita grama e collocazioni inadeguate, fino a quando trovarono ospitalità per l’appunto a Mons. Girarci oggi dà l’impressione di visitare uno dei musei più singolari che esistano (un museo che raccoglie tutto, appunto perché tutto può essere documento), sino a che si impone un ovvio ragionamento: il sogno di Otlet e La Fontaine si è realizzato da un po’ di anni, ed è il Web. E, inversamente, nei due belgi che avrebbero potuto darsi il motto di Monsieur Teste, «transit classificando», troviamo, per così dire, l’anello di congiunzione tra le enciclopedie e le biblioteche, e quell’immenso catalogo “sans papier” che è per l’appunto fornito oggi da internet. Otlet sognava il giorno in cui tutti avrebbero potuto accedere a questo immane archivio standosene a casa, come nella illustrazione di suo pugno riportata accanto (e che ho ricevuto grazie alla cortesia di Stéphanie Manfroid, direttrice dell’archivio): libri, cataloghi e documenti sarebbero stati accessibili alla televisione, che negli anni Trenta muoveva i primi passi. Qui, in effetti, il Mundaneum diventa un Panopticon, ma capovolto: non una torre che spia tutti, ma delle televisioni da cui tutti possono vedere, appunto come internet, o quasi. E qui c’è una singolarità che fa riflettere, e che non ha a che fare con la circostanza macroscopica per cui l’archivio del Mundaneum è in grandissima parte cartaceo, anche se comprende microfilm, fotografie, dischi (e in uno di questi, che si sta restaurando, è registrata la voce di Otlet, che illustra i suoi principi di classificazione). No, ciò che Otlet non prevede, nella sua profezia, è che l’accesso ai documenti sarebbe avvenuto ancora attraverso la scrittura. Se ci facciamo caso, sono proprio le tastiere dei computer che mancano nel disegno di Otlet, c’è solo lo schermo. E questo, in effetti, cambia tutto: quando usiamo internet non facciamo zapping, digitiamo su una tastiera, scriviamo, come del resto facciamo, e sempre più, sul telefonino, e sull’iPhone, che rispetto ai concorrenti ha essenzialmente il vantaggio di disporre di una tastiera più ampia. È singolare che un grande archivista come Otlet non ci avesse pensato, cioè che non avesse considerato il fatto che internet forse avrebbe decretato la fine della carta, sostituita almeno in linea di principio da altri supporti, ma certo avrebbe comportato l’esplosione della scrittura.

(sole24ore)

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IL BISNONNO DI INTERNETultima modifica: 2008-11-30T05:16:10+01:00da worldeditor
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